Renzo Samaritani e Carmelina Rotundo: Rainer Maria Rilke — imparare a vedere con il cuore
“Forse tutto l’orrore non è altro che l’inizio di qualcosa di nuovo che ancora non comprendiamo.”
Ci sono poeti che scrivono per dire, e poeti che scrivono per diventare silenzio.
Rainer Maria Rilke appartiene a questi ultimi. Nei suoi versi la parola non spiega, ma accompagna. È un passo nella nebbia, un lume che non mostra tutto, ma indica una direzione.
Rilke ha fatto della vita un laboratorio dello sguardo. Nei Quaderni di Malte Laurids Brigge, nella Lettera a un giovane poeta, nelle Elegie Duinesi, torna sempre lo stesso invito: impara a vedere.
Non come atto fisico, ma come forma d’amore.
Vedere con il cuore significa accettare la complessità, non semplificare, accogliere la bellezza e la paura come due lati dello stesso volto.
“Lascia che tutto ti accada: bellezza e terrore.”
La poesia di Rilke è una teologia dell’esperienza.
Non fugge l’umano, lo santifica.
Ogni emozione, ogni perdita, ogni timore diventa materia per costruire dentro di sé una “cattedrale invisibile”.
Il poeta è colui che trasforma la paura in attenzione, la nostalgia in presenza, il limite in soglia.
In un’epoca che cerca risposte rapide, Rilke propone una spiritualità della lentezza: la certezza che le domande, se coltivate con amore, diventano fiori.
Non occorre trovare subito il senso: basta restare nel dialogo.
È questo, forse, il significato profondo del suo celebre consiglio: “Vivi le domande ora.”
Forse un giorno, senza accorgertene, vivrai dentro le risposte.
Rilke ci invita a non temere l’invisibile.
A stare nel mistero come chi sa che la vita è più grande delle sue definizioni.
E ci ricorda che la poesia non serve a capire, ma a custodire.
Perché il mondo non chiede spiegazioni: chiede solo di essere amato, un verso alla volta.

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