Renzo Samaritani Schneider: La rivoluzione parte dal forno: perché la lasagna è uno stato mentale.
“Non chiamatela solo pasta al forno: perché la mia è, a pieno titolo, una lasagna dell’anima”
La definizione classica: un punto di partenza, non un confine
Tradizionalmente, la lasagna al forno è descritta come un piatto composto da fogli di pasta all’uovo larghi e piatti, disposti in strati alternati con ragù, besciamella e formaggio.
È la definizione che si trova nell’Enciclopedia Italiana, nei ricettari e in Wikipedia.
Ma questa è solo una delle possibili incarnazioni della lasagna, quella emiliana per eccellenza — gloriosa, sì, ma non unica né immutabile.
In realtà, la stessa tradizione italiana conosce una moltitudine di pasticci al forno che, pur cambiando formato di pasta, condividono la stessa anima: la stratificazione, il calore del forno e la fusione lenta di sughi, besciamella e formaggi.
Dalle pasta al forno napoletane con ziti e polpettine, ai anelletti siciliani, fino ai vincisgrassi marchigiani e ai pasticci veneti, l’Italia ha sempre amato reinventare lo stesso gesto: quello di alternare, unire e fondere.
La verità è che la lasagna è un concetto, non un formato
Fuori dai confini italiani, la faccenda è ancora più interessante.
Nei paesi anglosassoni, il termine lasagna si usa in senso generico, per indicare qualsiasi piatto al forno stratificato con pasta, salsa e formaggio.
Su siti e ricettari internazionali si trovano versioni come la baked fettuccine lasagna o la penne lasagna bake, che usano pasta corta, lunga, arricciata o persino senza glutine — ma restano lasagne a pieno titolo perché rispettano la struttura a strati e l’identità del piatto.
In Grecia c’è il pastitsio, chiamato “la lasagna greca”.
In Venezuela, il pasticho è definito addirittura dal dizionario come “plato formado por capas de pasta”, cioè piatto formato da strati di pasta.
In Sardegna, c’è chi prepara la lasagna con pane carasau invece che con pasta all’uovo.
Se tutto questo è considerato “lasagna”, chi può dire che una teglia di maccheroni al ragù, disposti a strati, non lo sia?
Il nome non è un muro, è un ponte
La questione del nome — lasagna o pasta al forno? — tocca un punto molto più profondo della semantica culinaria.
Come dice Giulietta a Romeo: “What’s in a name?” — cosa c’è in un nome?
In teoria, nulla. In pratica, moltissimo.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, gli psicologi scoprirono che bastava rinominare un cibo per farlo accettare: le frattaglie, diventate variety meats, sembrarono improvvisamente più appetibili.
Allo stesso modo, chiamare “lasagna” un piatto che profuma di forno, ragù e casa non è un inganno, ma un atto di riconoscimento.
È come dire: “Ti vedo per quello che sei, non per come appari”.
La forma cambia, l’essenza resta
Nella filosofia — e nella cucina, che di filosofia è sorella — l’essenza è ciò che sopravvive alla forma.
Un bruco che diventa farfalla non smette di essere sé stesso, semplicemente evolve.
Così anche la lasagna: se cambia il formato di pasta ma mantiene la sostanza — strati, calore, besciamella, ragù — rimane fedele al suo spirito originario.
In termini spirituali, potremmo dire che la lasagna è una metafora dell’identità: non si definisce da ciò che mostra, ma da ciò che tiene insieme.
È una filosofia incarnata in una teglia di forno: la trasformazione non distrugge, ma rivela.
Lezione di libertà culinaria (e spirituale)
Chi dice “non puoi chiamarla lasagna” difende un’idea rigida della tradizione, come se la cucina fosse un museo invece che un linguaggio vivo.
Ma la tradizione italiana, quella vera, è evoluzione continua, fatta di contaminazioni e adattamenti.
La lasagna non è solo un foglio di pasta; è un gesto collettivo, un archetipo di casa, famiglia e abbondanza.
Cambiare il formato — usare maccheroni, penne o fusilli — non tradisce la lasagna, la rinnova.
È la prova che un piatto può cambiare pelle senza perdere l’anima.
Conclusione: la mia lasagna, al di là del nome
Chiamarla pasta al forno sarebbe riduttivo.
La mia teglia, fatta con maccheroni, besciamella e ragù, è una lasagna nel senso più vero del termine: una lasagna dell’anima.
Perché il suo cuore è lo stesso — strati d’amore, calore del forno, profumo di domenica e di memoria.
Il resto è solo lessico.
E come accade con le persone, anche con i piatti vale la stessa regola: non giudicare la lasagna dalla forma della sua pasta.

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