Ritrovare la Notte Sacra: Ognissanti, Commemorazione dei Defunti e una proposta
C’era una volta — e c’è ancora — una notte che non appartiene al consumo né al brivido fine a sé stesso, ma alla memoria: la veglia che separa l’Ognissanti dalla Commemorazione dei Defunti. Lì, tra il primo e il secondo giorno di novembre, si tende una corda sottile che collega generazioni: preghiere sussurrate, fiori deposti, il nome di un parente pronunciato al buio. Quel rito semplice ha il potere di spogliarci dalla fretta e di ricordarci che la presenza non è solo del corpo.
Oggi la scena è cambiata: la vigilia è diventata una sfilata di maschere e zucchero; il macabro si è trasformato in costume e merchandising. Non è solo una moda: è un segnale culturale. Quando una festa perde il suo significato originario, il rischio è che anche la nostra capacità di commemorare e di prenderci cura si atrofizzi, rimpiazzata da un intrattenimento che non chiede partecipazione interiore ma solo consumo.
Questo non è un invito a proibire nulla. Se un bambino trova gioia nel bussare alle porte vestito da vampiro, va bene. Ma è un invito a narrare la verità: raccontare ai bambini che quella notte ha radici antiche — pagane, poi cristiane — e che esistono momenti dell’anno dedicati al rispetto, alla memoria e alla compassione. Dare senso rende un gesto più sano e più grande.
Per questo motivo, e per offrire qualcosa di diverso a chi cerca profondità, proponiamo una serata alternativa: una Celebrazione della Fratellanza della Luce. Non è uno spettacolo, non è carnevale. È una pratica semplice e condivisa di attenzione: letture brevi sui santi e sugli insegnamenti della compassione, una sequenza di silenzi guidati, piccoli gesti simbolici (una candela accesa per ciascun nome ricordato), e una condivisione finale di cibo semplice offerto alla comunità.
Per chi partecipa: arriva con calma, porta il nome di una persona che vuoi ricordare o una breve parola che esprima gratitudine. Se puoi, porta un fiore o una piccola offerta simbolica — niente costumi da pavone. Per chi resta a casa: spegni il telefono per un’ora, scrivi il nome di qualcuno su un foglio e lascia che, per un attimo, la modernità si calmi.
La memoria è un muscolo: più la esercitiamo con cura, meno cediamo all’oblio. E la commemorazione è un’arte sociale: insegna come essere presenti agli altri, anziché solo visibili. Se vogliamo che i nostri figli imparino la profondità, dobbiamo offrire loro esempi reali — parole che spiegano, riti che coinvolgono, comportamenti che incarnano rispetto.
Chiudendo: non smettiamo di avere feste. Semplicemente ricordiamo che una festa può anche essere una scuola di cuore.

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